La catastrofe è stata protagonista della letteratura e della poesia sin dal mondo antico, anche se in forme diverse. Un poeta su cui voglio porre la mia attenzione è Vittorio Alfieri, che ha descritto in ogni sua opera ciò che considerava la catastrofe irreparabile, la morte.
Voglio proporre un sonetto, "Bieca,o Morte, minacci?", in cui sfida la Morte a vibrare il suo corpo mortale:
Bieca, o Morte, minacci? e in atto orrenda,l’adunca falce a me brandisci innante?
Vibrala, su: me non vedrai tremante
pregarti mai, che il gran colpo sospenda.Nascer, sì, nascer chiamo aspra vicenda,
non già il morire, ond’io d’angosce tante
scevro rimango, e un solo breve istante
de’ miei servi natali il fallo ammenda.Morte a troncar l’obbrobbriosa vita
che in ceppi io traggo, io di servir non degno
che indugi omai, se il tuo indugiar m’irrita?Sottrammi ai re, cui sol dà orgoglio e regno
viltà dei più, ch’a inferocir gl’invita
e a prevenir dei pochi il tardo sdegno.
La vita era concepita da Alfieri come incapacità di essere, come limite del proprio volere e della propria voglia di affermarsi, che porta l'uomo a liberarsi con la morte stessa.
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